Cronache paesane

Sera d’inverno in un paese del sud Italia. Ad un certo punto vedo un tizio piazzare un pacco nel mezzo di un crocevia, in pieno paese. Tenta a più riprese di accendere lo stesso con un accendino. Gli chiedo cosa stia facendo e lui mi ignora, intento come è ad iniziare la fiamma. Il pacco prende fuoco e cominciano a scoppiare tanti fuochi d’artificio. In pieno paese, con i cavi elettrici sospesi sul crocevia al di sopra del pacco. Alzo la voce e gli chiedo cosa stia succedendo, lui risponde che è nata sua figlia e bisogna festeggiare. Basita, sorpresa, arrabbiata, schifata, chiamo la polizia locale. Ovviamente non è successo nulla, non gli hanno fatto nulla, è solo rimasto un buco nero sull’asfalto. Lo stesso buco nero che il tizio ha al posto del cervello.

Su una nota più allegra, confesso che lo spettacolo non è stato male, nonostante sia stata tutto il tempo a scansare le scintille per non bruciarmi i capelli.

Lollipop

La mamma mi raccontava spesso della sua prima amica d’infanzia. Era una bambina americana di nome Roxy. La sua famiglia era stanziata in una base Nato ed avevano affittato un appartamento di mia nonna. Mamma e Roxy divennero amiche subito pur non parlando la stessa lingua. Roxy non riusciva a pronunciare lo strano nome di mia madre, per semplificare le fu detto di chiamarla Maria. L’una imparò la lingua dell’altra e le diverse abitudini culturali e alimentari. La prima parola imparata in inglese da mia madre fu lollipop, lecca lecca. Fu la mamma di Roxy a fare ad entrambe la prima permanente ai capelli a soli sei anni.

Mi è stato raccontato di quando Roxy si arrampicò sul cornicione di casa facendo l’equilibrista, con tutte le persone della piazza di sotto che guardavano atterrite. Ricordi, storie raccontatemi tante volte.

Un giorno Roxy ritorno’ negli Stati Uniti e mia madre non ebbe mai risposta alle lettere che le spedí. Credette di essere per sempre dimenticata. Tante congetture che facciamo, raramente indovinano ciò che è successo per davvero…

Sono passati 66 anni.

La scorsa estate qualcuno ci avvisa di uno strano annuncio sulla bacheca mediatica del paese di mia madre. Una signora dagli Stati Uniti cercava una certa bambina, ormai fatta donna, di nome Maria.

Il loro incontro è stato emozionante! Roxy non ha mai scordato la mamma, si sono entrambe portate nel cuore, sempre.

Ci sono delle impronte lasciate nella vita da eventi e persone. A volte rimangono come buchi, che solo i ricordi riempiono. Altre volte sono impronte a cui ne seguono altre, formando un nuovo percorso. Come è successo alla mamma.

Non ho mai voluto un cane

Watson baby, quando pensi al movimento del tempo, lo vedi come un movimento orizzontale o verticale?

Watsy, queste stanze sono così vuote che si sente il rimbombo dei propri pensieri, non trovi?

Ah quanti discorsi. Amico mio, se avessi avuto la parola cosa mi avresti detto?

Forse che ero un po’ scema a parlarti con le vocine. Forse che avresti voluto ti facessi qualche doccia di meno, che avresti voluto giocare di più con la palla, avresti voluto dormire nella mia stessa camera da letto.

All’inizio, se io avessi saputo abbaiare, ti avrei detto che puzzavi un po’, che abbaiavi troppo forte, che mi stavi rovinando tutto il pavimento di casa.

Adesso che mi hai lasciato, ti vorrei dire che ho capito che la tua puzza è solo il tuo odore. E mi manca. Che ogni graffio e segno lasciato per casa sono un ricordo di te nella mia vita.

Non ho mai voluto un cane, mi sei capitato. A volte le sorprese ti sorprendono.

Trascendenza

Mi chiamo Emanuela e sono ebrea. La ebraicita’ me la porto nel nome e nel dolore per quello che ha passato la mia gente. Dalla fuga dall’Egitto, siamo un popolo male accolto da tutti gli altri. Legati alle nostre tradizioni e ai nostri riti, rimaniamo a galla, un po’ isolati, come le gocce di olio sull’acqua. Non è buona cosa questa, come non è buona cosa l’attrito che Israele e Palestina perpetrano ai danni di essere umani che sono figli di Dio. Molti mi dicono di sentire una affinità alla mia religione, pur non essendo ebrei. La ebraicita’può perdersi nei secoli ma prima o poi ti richiama a sé. C’e’ una spiegazione metafisica della Kabbalah molto bella a riguardo. Abramo e Sara furono sposati per molti anni prima di riuscire ad avere dei figli. Ogni volta i loro corpi si univano carnalmente, nasceva un’anima. Tutte le anime generate da Abramo e Sara sono state distribuite nelle varie nazioni del mondo. Sono queste le anime che ritornano al giudaismo.

Mi chiamo Emanuela e sono un chirurgo plastico. La bellezza è il mio pane quotidiano, la ricerca della perfezione pure. Dico sempre ai miei pazienti che se le aspettative sono realistiche, il risultato sarà sicuramente soddisfacente. Pochi colgono appieno il significato di questa frase, quindi i ritocchi plastici sono infiniti, per la coscia più snella, le natiche più alte etc etc. Per sopravvivere in questo mondo di vanità e fatuità, dovremmo tutti praticare la filosofia del wabi-sabi: l’imperfezione come espressione della propria unicità. Avete presente i vasi di ceramica giapponesi? Bellissimi, essenziali, quasi perfetti se non fosse per quella unghiata o ditata impressa dal ceramista nella argilla ancora umida. Una imperfezione messa lì di proposito, a monito della caducità della vita. Fantastico vero?

Mi chiamo Emanuela e ciò che ho scritto è mero frutto della mia fantasia, o forse no, ma mi andava di scriverlo. Mazal tov.

Everybody loves somebody sometime

Con finto stupore apprendo dal mio amato tabloid inglese, The Daily Mail, del fidanzamento ufficiale della principessa Beatrice. Il primo pensiero, per ognuno c’è qualcuno sempre. Il secondo, i soldi riescono a comprare anche i fidanzati carini. Il terzo, sono veramente una donna così acida? Il quarto, evidentemente si, ma tanto sarei andata all’inferno comunque per peccati ben peggiori.

C’è una notevole disparità estetica tra i due fidanzati. Lui un tipo efebico con belle proporzioni facciali. Lei brutta che non c’è aggettivo che possa alleggerire all’occhio questa infausta evidenza. Per solidarietà femminile ammetto che almeno ha le caviglie sottili. La mia teoria è sempre stata che una bella pelle in viso e gambe magre sono lo stretto necessario verso la bellezza, la principessa le ha entrambe ma qualcosa è andata storta qui.

Il  confronto con le più avvenenti cugine acquisite non è clemente ma di una cosa Beatrice può essere certa, il suo sarà il marito più carino. Credo che la metà del suo sangue italiano si sia diluita nella lunga frequenza di scuole e ambienti inglesi, quindi sarà poca la parentela che l’Italia acquisirà con i Royals.

Ho vissuto tanti tanti anni a Londra, a saperlo prima dell’amore dei reali per noi commoners, un principe me lo sarei infiocchettato pure io!

Croce di Malta

Nuotavo felice nelle acque tiepide di Malta. La riva era lontana, ci si incammina per un bel tratto in acque poco profonde che sfiorano le ginocchia, prima di poter non toccare il fondo.

Vedevo qualcosa galleggiare. Era una grande croce fatta in legno, tenuta insieme da fili di spago. Mi ci appoggiai su per un po’, pensando alla cosa come un segno del Cielo che tutto sarebbe andato bene, che sarei stata felice, amata, protetta nell’affetto dei miei cari a casa.

Ecco, non avevo capito che quella croce era stata gettata in mare come ultimo saluto a chi, cadendo da un barcone, in quelle acque aveva perso la vita e la fede nella solidarietà umana. Era una croce priva di speranza.

Leggete questo articolo:

https://klaudiomi.wordpress.com/2019/09/04/missione-vietnam/

Il mio padre nostro

Ho smesso di sentire la solitudine tanti anni fa, dopo averla mangiata come pane quotidiano per un lungo tempo. In un periodo in cui sentivo che nessuno rimetteva a me i miei debiti, in una città che amavo ma che non ricambiava il mio amore. Andavo a letto con la speranza di non svegliarmi più, visto che avevo smesso di credere nei miracoli. Sul piano della cucina avevo decine di scatole di antidepressivo. Mi corteggiava ogni giorno, io ogni giorno gli ho resistito per due lunghi anni. O la resurrezione o la morte, evidentemente una piccola forza interiore mi spingeva a testare fino a che punto avrei potuto farcela senza aiuto. Sentivo di sapere che se fossi riuscita a venirne fuori, mai e poi mai avrei riprovato ancora una volta nella vita la depressione, la solitudine più nera, la paralisi emotiva, l’intontimento delle lacrime.

Così è stato, mi sono liberata dal male.

Questa riflessione mattutina, che può sembrare triste, ma che in realtà non lo è affatto, è scaturita mentre accendevo la macchina per il caffè. Quella stronzetta sembra aspetti solo me all’alba per lampeggiarmi e ricordarmi che : manca l’acqua dal serbatoio o va riempito il macinino o va svuotato il vassoio con la posa. Volevo solo bere il mio caffè lungo e forte e bollente con panna e leggere qualche pagina del mio romanzo. No invece, con gli occhi ancora semichiusi ho dovuto sfaccendare un po’ prima di poter godere della santa pace e gustare il mio caffè.

Nulla arriva senza un po’ di sacrificio in questa vita.

Viaggia in Italia , viaggia pulito

La mamma del mio ex inglese non capiva come mai noi italiani amiamo tanto lavarci con mano e saponetta dopo l’evacuazione quotidiana.

“Why not using the wipes?” chiedeva lei.

“Il bidet, la più alta espressione di civiltà italiana! Le salviette umidificate, la più grande forma di inciviltà verso il pianeta!” le rispondevo io convinta.

In Inghilterra, per esempio, supposte e lavande vaginali sono praticamente obsolete. A scoraggiare l’uso rettale ci si mettono pure i prezzi, 40 sterline per un pacco di supposte pediatriche di paracetamolo.

Ogni nazione ha una particolare sintonia con le proprie parti intime. In Italia la nostra è ben collaudata, nell’uso pratico come in quello verbale.

Pere, perette, clisteri, alla glicerina, al miele e malva, ce n’è per tutti i gusti. Il detto comune, graficamente tradotto come una grattatina di palle, ha portato bene a generazioni di italiani.

Insomma, siamo un gran bel Paese con qualche testa di cazzo al governo, tanto per rimanere in tema, ma mi pare che anche nel resto del mondo le cose non siano troppo diverse.

Chiacchiere

Ho voglia di fare una conversazione a cacchio, come quelle che facevo con te. Conversazioni che duravano ore, in cui parlavamo del più piccolo avvenimento quotidiano o della più grande guerra stellare in atto nella testa. Argomenti triti e ritriti che venivano analizzati nel più piccolo dettaglio, portando a conclusioni che mi lasciavano confortata e magari sapevano un po’ di filosofia.

Oggi vorrei dirti che sono stanca di dover risolvere i problemi della gente che mi sta attorno. Che se decidi di farti una vita nuova in una nazione nuova, è bene che impari la lingua per renderti indipendente e non gravare sugli altri. Che mi fa schifo la sequela di burocrazia italiana per qualsiasi cosa. Burocrazia lenta, pesante , obesa. Stanca delle persone che diventano ognisicenti solo perché leggono internet e sono indifferenti alla vera professionalità che nasce da studi approfonditi e pratica incessante.

Vorrei dirti che mi son tagliata la frangia e mi piace un casino, avrei dovuto farlo prima. Ho trovato un prodotto che restringe i pori vicino al naso ed uno che cancella le macchie brune della pelle.

Che ho cambiato casa, si ancora un altro trasloco e sicuramente non ancora l’ultimo. Che non sarò mai madre perché è andata così, ma mi consola che almeno manterrò il mio fisico da adolescente più a lungo. Che sotto sotto pure io avrei voluto un matrimonio all’italiana e, dopo la festa, la routine avrebbe avuto un sapore rassicurante.

Ah ecco l’ultima cosa, ma perché gli uomini starnutiscono in modo grottesco e rumoroso? Che nervi.

Nel mio cuore condivido ancora e spesso le cose con te. Un bacio.

Quando sei caduta sugli scogli e ti sei sbucciata la patata

D’estate sugli scogli si fanno le cadute peggiori. Ginocchia abrase, dita dei piedi frantumate, unghie che saltano, cosce escoriate, per elencare le più note. Infine può andarti veramente male, tipo cadere a gambe aperte e ledere rovinosamente la cosa più preziosa che la natura ha regalato a noi donne. È quello che è successo a te. Colpa delle infradito inconsistenti, di qualche alga scivolosa, ti è partita una spaccata in stile ginnico e così ti sei sbucciata la patata.

I bagnanti sono accorsi alle tue urla.

“Aia, che dolore sto male, aia!”

“Madonna, povera figlia, dove ti fa male? Facci vedere la ferita!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Presto, sciacquiamo la ferita con dell’acqua fresca, ho una bottiglietta sotto il mio ombrellone!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Oronzo, corri a chiamare tuo fratello Pasquale dall’acqua, che lui studia per infermiere e di ferite ne capisce”

“Nooo, non vi avvicinate, non mostro niente io!”

Nessuno ha visto la dinamica della caduta e nessuno ha capito dove sia realmente la ferita. Giunta in pronto soccorso non ti sei fidata del ginecologo di turno che vuole suturarla. Hai pensato a qualche forma di infibulazione barbara, visto il posto remoto e meridionale in cui ti trovi in vacanza. Hai preso il primo volo per Milano, dove la tua ginecologa ha decretato che con assoluto riposo i punti possono essere evitati.

Ragazza mia, non è passato molto tempo da quando ti facevi aiutare da tua madre a mettere i tampax. Già allora mi sembrava avessi un rapporto strano con la tua patata. Mi ricorda un po’ una donna di mia conoscenza che fa ancora il bidet a suo figlio dodicenne e peloso.

Non dico che non si debba far vedere i propri ortaggi a nessuno, ma che tu cuoccia le patate al forno o i piselli al vapore, sono cotture lente che devi imparare a far da solo.