Trascendenza

Mi chiamo Emanuela e sono ebrea. La ebraicita’ me la porto nel nome e nel dolore per quello che ha passato la mia gente. Dalla fuga dall’Egitto, siamo un popolo male accolto da tutti gli altri. Legati alle nostre tradizioni e ai nostri riti, rimaniamo a galla, un po’ isolati, come le gocce di olio sull’acqua. Non è buona cosa questa, come non è buona cosa l’attrito che Israele e Palestina perpetrano ai danni di essere umani che sono figli di Dio. Molti mi dicono di sentire una affinità alla mia religione, pur non essendo ebrei. La ebraicita’può perdersi nei secoli ma prima o poi ti richiama a sé. C’e’ una spiegazione metafisica della Kabbalah molto bella a riguardo. Abramo e Sara furono sposati per molti anni prima di riuscire ad avere dei figli. Ogni volta i loro corpi si univano carnalmente, nasceva un’anima. Tutte le anime generate da Abramo e Sara sono state distribuite nelle varie nazioni del mondo. Sono queste le anime che ritornano al giudaismo.

Mi chiamo Emanuela e sono un chirurgo plastico. La bellezza è il mio pane quotidiano, la ricerca della perfezione pure. Dico sempre ai miei pazienti che se le aspettative sono realistiche, il risultato sarà sicuramente soddisfacente. Pochi colgono appieno il significato di questa frase, quindi i ritocchi plastici sono infiniti, per la coscia più snella, le natiche più alte etc etc. Per sopravvivere in questo mondo di vanità e fatuità, dovremmo tutti praticare la filosofia del wabi-sabi: l’imperfezione come espressione della propria unicità. Avete presente i vasi di ceramica giapponesi? Bellissimi, essenziali, quasi perfetti se non fosse per quella unghiata o ditata impressa dal ceramista nella argilla ancora umida. Una imperfezione messa lì di proposito, a monito della caducità della vita. Fantastico vero?

Mi chiamo Emanuela e ciò che ho scritto è mero frutto della mia fantasia, o forse no, ma mi andava di scriverlo. Mazal tov.

 

Everybody loves somebody sometime

Con finto stupore apprendo dal mio amato tabloid inglese, The Daily Mail, del fidanzamento ufficiale della principessa Beatrice. Il primo pensiero, per ognuno c’è qualcuno sempre. Il secondo, i soldi riescono a comprare anche i fidanzati carini. Il terzo, sono veramente una donna così acida? Il quarto, evidentemente si, ma tanto sarei andata all’inferno comunque per peccati ben peggiori.

C’è una notevole disparità estetica tra i due fidanzati. Lui un tipo efebico con belle proporzioni facciali. Lei brutta che non c’è aggettivo che possa alleggerire all’occhio questa infausta evidenza. Per solidarietà femminile ammetto che almeno ha le caviglie sottili. La mia teoria è sempre stata che una bella pelle in viso e gambe magre sono lo stretto necessario verso la bellezza, la principessa le ha entrambe ma qualcosa è andata storta qui.

Il  confronto con le più avvenenti cugine acquisite non è clemente ma di una cosa Beatrice può essere certa, il suo sarà il marito più carino. Credo che la metà del suo sangue italiano si sia diluita nella lunga frequenza di scuole e ambienti inglesi, quindi sarà poca la parentela che l’Italia acquisirà con i Royals.

Ho vissuto tanti tanti anni a Londra, a saperlo prima dell’amore dei reali per noi commoners, un principe me lo sarei infiocchettato pure io!

 

Croce di Malta

Nuotavo felice nelle acque tiepide di Malta. La riva era lontana, ci si incammina per un bel tratto in acque poco profonde che sfiorano le ginocchia, prima di poter non toccare il fondo.

Vedevo qualcosa galleggiare. Era una grande croce fatta in legno, tenuta insieme da fili di spago. Mi ci appoggiai su per un po’, pensando alla cosa come un segno del Cielo che tutto sarebbe andato bene, che sarei stata felice, amata, protetta nell’affetto dei miei cari a casa.

Ecco, non avevo capito che quella croce era stata gettata in mare come ultimo saluto a chi, cadendo da un barcone, in quelle acque aveva perso la vita e la fede nella solidarietà umana. Era una croce priva di speranza.

Leggete questo articolo:

https://klaudiomi.wordpress.com/2019/09/04/missione-vietnam/

Il mio padre nostro

Ho smesso di sentire la solitudine tanti anni fa, dopo averla mangiata come pane quotidiano per un lungo tempo. In un periodo in cui sentivo che nessuno rimetteva a me i miei debiti, in una città che amavo ma che non ricambiava il mio amore. Andavo a letto con la speranza di non svegliarmi più, visto che avevo smesso di credere nei miracoli. Sul piano della cucina avevo decine di scatole di antidepressivo. Mi corteggiava ogni giorno, io ogni giorno gli ho resistito per due lunghi anni. O la resurrezione o la morte, evidentemente una piccola forza interiore mi spingeva a testare fino a che punto avrei potuto farcela senza aiuto. Sentivo di sapere che se fossi riuscita a venirne fuori, mai e poi mai avrei riprovato ancora una volta nella vita la depressione, la solitudine più nera, la paralisi emotiva, l’intontimento delle lacrime.

Così è stato, mi sono liberata dal male.

Questa riflessione mattutina, che può sembrare triste, ma che in realtà non lo è affatto, è scaturita mentre accendevo la macchina per il caffè. Quella stronzetta sembra aspetti solo me all’alba per lampeggiarmi e ricordarmi che : manca l’acqua dal serbatoio o va riempito il macinino o va svuotato il vassoio con la posa. Volevo solo bere il mio caffè lungo e forte e bollente con panna e leggere qualche pagina del mio romanzo. No invece, con gli occhi ancora semichiusi ho dovuto sfaccendare un po’ prima di poter godere della santa pace e gustare il mio caffè.

Nulla arriva senza un po’ di sacrificio in questa vita.

Viaggia in Italia , viaggia pulito

La mamma del mio ex inglese non capiva come mai noi italiani amiamo tanto lavarci con mano e saponetta dopo l’evacuazione quotidiana.

“Why not using the wipes?” chiedeva lei.

“Il bidet, la più alta espressione di civiltà italiana! Le salviette umidificate, la più grande forma di inciviltà verso il pianeta!” le rispondevo io convinta.

In Inghilterra, per esempio, supposte e lavande vaginali sono praticamente obsolete. A scoraggiare l’uso rettale ci si mettono pure i prezzi, 40 sterline per un pacco di supposte pediatriche di paracetamolo.

Ogni nazione ha una particolare sintonia con le proprie parti intime. In Italia la nostra è ben collaudata, nell’uso pratico come in quello verbale.

Pere, perette, clisteri, alla glicerina, al miele e malva, ce n’è per tutti i gusti. Il detto comune, graficamente tradotto come una grattatina di palle, ha portato bene a generazioni di italiani.

Insomma, siamo un gran bel Paese con qualche testa di cazzo al governo, tanto per rimanere in tema, ma mi pare che anche nel resto del mondo le cose non siano troppo diverse.

Chiacchiere

Ho voglia di fare una conversazione a cacchio, come quelle che facevo con te. Conversazioni che duravano ore, in cui parlavamo del più piccolo avvenimento quotidiano o della più grande guerra stellare in atto nella testa. Argomenti triti e ritriti che venivano analizzati nel più piccolo dettaglio, portando a conclusioni che mi lasciavano confortata e magari sapevano un po’ di filosofia.

Oggi vorrei dirti che sono stanca di dover risolvere i problemi della gente che mi sta attorno. Che se decidi di farti una vita nuova in una nazione nuova, è bene che impari la lingua per renderti indipendente e non gravare sugli altri. Che mi fa schifo la sequela di burocrazia italiana per qualsiasi cosa. Burocrazia lenta, pesante , obesa. Stanca delle persone che diventano ognisicenti solo perché leggono internet e sono indifferenti alla vera professionalità che nasce da studi approfonditi e pratica incessante.

Vorrei dirti che mi son tagliata la frangia e mi piace un casino, avrei dovuto farlo prima. Ho trovato un prodotto che restringe i pori vicino al naso ed uno che cancella le macchie brune della pelle.

Che ho cambiato casa, si ancora un altro trasloco e sicuramente non ancora l’ultimo. Che non sarò mai madre perché è andata così, ma mi consola che almeno manterrò il mio fisico da adolescente più a lungo. Che sotto sotto pure io avrei voluto un matrimonio all’italiana e, dopo la festa, la routine avrebbe avuto un sapore rassicurante.

Ah ecco l’ultima cosa, ma perché gli uomini starnutiscono in modo grottesco e rumoroso? Che nervi.

Nel mio cuore condivido ancora e spesso le cose con te. Un bacio.

Quando sei caduta sugli scogli e ti sei sbucciata la patata

D’estate sugli scogli si fanno le cadute peggiori. Ginocchia abrase, dita dei piedi frantumate, unghie che saltano, cosce escoriate, per elencare le più note. Infine può andarti veramente male, tipo cadere a gambe aperte e ledere rovinosamente la cosa più preziosa che la natura ha regalato a noi donne. È quello che è successo a te. Colpa delle infradito inconsistenti, di qualche alga scivolosa, ti è partita una spaccata in stile ginnico e così ti sei sbucciata la patata.

I bagnanti sono accorsi alle tue urla.

“Aia, che dolore sto male, aia!”

“Madonna, povera figlia, dove ti fa male? Facci vedere la ferita!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Presto, sciacquiamo la ferita con dell’acqua fresca, ho una bottiglietta sotto il mio ombrellone!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Oronzo, corri a chiamare tuo fratello Pasquale dall’acqua, che lui studia per infermiere e di ferite ne capisce”

“Nooo, non vi avvicinate, non mostro niente io!”

Nessuno ha visto la dinamica della caduta e nessuno ha capito dove sia realmente la ferita. Giunta in pronto soccorso non ti sei fidata del ginecologo di turno che vuole suturarla. Hai pensato a qualche forma di infibulazione barbara, visto il posto remoto e meridionale in cui ti trovi in vacanza. Hai preso il primo volo per Milano, dove la tua ginecologa ha decretato che con assoluto riposo i punti possono essere evitati.

Ragazza mia, non è passato molto tempo da quando ti facevi aiutare da tua madre a mettere i tampax. Già allora mi sembrava avessi un rapporto strano con la tua patata. Mi ricorda un po’ una donna di mia conoscenza che fa ancora il bidet a suo figlio dodicenne e peloso.

Non dico che non si debba far vedere i propri ortaggi a nessuno, ma che tu cuoccia le patate al forno o i piselli al vapore, sono cotture lente che devi imparare a far da solo.

Terroni nè

Il customer care è un concetto astratto che l’individuo meridionale ignora completamente. Sono alle prese con la ristrutturazione di una casa. Un’esperienza bellissima, mi dicevano le amiche d’oltralpe. Una tragedia che avvelena i miei giorni, come ho scoperto da ormai 10 mesi. Lavori sommari, lasciati in sospeso. L’ultima scoperta, una persiana di dimensioni troppo grandi rispetto alla ringhiera del balcone su cui è stata montata. In sostanza, una anta non si apre, sbatte contro la ringhiera.

“ Signó, nan ti preoccupà! Arrisolviamo accussí: pieghiamo poco poco la ringhiera con il crick, ma na robba di pochi centimetri, accussí quando apri non sbatte più!” ( una ringhiera antica che sta lì immacolata dal 1800! )

Ieri provo a chiamare diverse volte, senza risposta, una ditta che deve venire ad installare una stufa. La settimana scorsa mi era stato detto “ verremo nei prossimi giorni”. Sette giorni dopo, in quanto cliente pagante, mi sento in diritto di avere una risposta più precisa. Non è che sto proprio tutto il giorno a limarmi le unghie e lisciarmi i capelli, un lavoro ce l’ho pure io, mi devo organizzare nè. Diverse telefonate non risposte dopo, decido di mandare un messaggio al tipo della stufa, chiedendo una data. La sua risposta è stata fulminea :” Signó, ma se sto impegnato con 5 clienti scusa, cosa devo fare. Quando posso la monto”. Gli ho fatto notare che sono un cliente anche io e non c’era bisogno di essere sgarbato. La sua risposta :” Signó, ma se ti ho detto pure scusa, che vuoi mó? Sono senza parole!” . Ah ecco, andiamo bene. Mi sono ripromessa che al momento del pagamento finale, non sarò solerte, non risponderò alle sue chiamate e quando mi manderà un messaggio gli risponderò che “sono impegnata con 5 clienti, scusa(!), e quando posso pagherò”.

Forse in queste vene scorre amarone del Veneto e in questo petto batte un cuore padano. Lo ammetto, è vero, lo dico con la bocca piena di fave e cicorie, ma anche il settentrionale doc apprezza la cucina meridionale. Non venite mai ad abitare al Sud nè.

Riflessioni leggere

Una serie di pensieri e ricordi si affacciano stamattina nella mia testa ed un senso di malinconico languore. Non sono nemmeno sotto ciclo, quindi è cosa seria. Queste riflessioni oggi non saranno ignorate, come faccio spesso, per mia pace e quieto vivere. Da bambina raccoglievo i pensieri del giorno e aspettavo il buio della mia stanza a sera per farli scorrere, per fantasticarci sopra. Prematuri tentativi di riflessione. Oggi, mi assicuro che quando arriva il buio della camera da letto, il corpo sia sfinito per permettere alla testa di non pensare. Tardivi tentativi di lievità.

Mi sono ricordata di una gara in bicicletta di tanti anni fa. Vi partecipai con la mia Graziella blu, tutti gli altri erano in moderne mountain bike. Ricordo il senso di vergogna che provai e le parole di incoraggiamento di papà. Diceva di fregarmene di cosa pensassero gli altri e di divertirmi. Così feci allora e così ho tentato di fare tutta la vita. Oggi mi sento un po’ indietro però, perché mi sembra di pedalare la vita con una ruota sola. Pedalo e pedalo ma non arrivo alla meta prefissa. Il bello è che poi penso che una meta io non me la ero nemmeno data! Ma è un pensiero universale che gli anni passano e ci si chiede cosa si è tralasciato di fare. Mi consolo, ognuno è felice come può e infelice come non sa.

Aperture mentali e non solo

Come si racconta una storia che parla di sesso anale? Chissà. Inizio con il dire che non si dovrebbero giudicare i gusti sessuali altrui e forse nemmeno i propri.

Monica aveva conosciuto un suo collega di molti anni più maturo, sposato con figli. Il dottore in questione era probabilmente stato un ex belloccio da giovane, sul genere Nino D’Angelo versione caschetto dorato e occhio azzurro. Del resto era di Napoli pure lui. Al primo appuntamento, di fronte ad un piatto di culatello e pecorino, il dottore sensualmente aveva dichiarato che avrebbe fatto piangere la nostra Monica. Lei invece di scappare, gli aveva sorriso per mo’ di sfida. Ciò che eccita le persone è come il profumo: un gusto molto personale.

Sennonché il dottore aveva il chiodo fisso del sesso anale. E se vi è sorto il dubbio, no, non era un proctologo. Varie le titubanze di Monica come i suoi rifiuti: non l’ho mai fatto prima, farà male…

Ma un bravo medico, con “esperienza”, ha la soluzione quasi a tutto. Un giorno si è presentato con una scatola. Ne ha estratto una bustina sigillata, di quelle che si mettono in autoclave per sterilizzare gli strumenti chirurgici. All’interno di essa, di varie dimensioni e forme, dei dilatatori anali.

In apertura ho promesso non avrei espresso giudizi, ma d’ora in poi accertatevi sempre della bontà dell’autoclave usata dal vostro medico prima che vi metta qualche strumento in bocca.