Zia Giuseppina prima di sposarsi ed avere sette figli, era stata fidanzata con un ragazzo del paese. Questo Franco non tornò mai più dal fronte di guerra. Anche lui un disperso del 15-18. Nel loro italiano semplice, imparato sui banchi di terza elementare, si erano scritti le lettere più dolci, scambiati le parole più tenere. Tanti anni dopo, una nipote chiese a zia Giuseppina, ormai ottantenne, dell’amore. La zia disse:” Figghia mea, m’aggiu sposato, aggiu fattu sette figghi, aggiu diventato nonna ma io, a Franchino mio nun me lu scordo e nun me lu scordo!”
Quando poco tempo dopo morì, una figlia di zia Giuseppina trovò le lettere d’amore del 15-18. Gelosamente custodite per sessant’anni in una scatola di latta, sotto al letto. Le lettere finirono sul petto di zia, al cimitero.
Ci sono nostalgie che non passano mai e che a volte ti aiutano a ridimensionare nostalgie più piccole e più recenti. Perché, per alcuni, c’è una parte del cuore che può battere solo con un po’ di dolore.