Everybody loves somebody sometime

Con finto stupore apprendo dal mio amato tabloid inglese, The Daily Mail, del fidanzamento ufficiale della principessa Beatrice. Il primo pensiero, per ognuno c’è qualcuno sempre. Il secondo, i soldi riescono a comprare anche i fidanzati carini. Il terzo, sono veramente una donna così acida? Il quarto, evidentemente si, ma tanto sarei andata all’inferno comunque per peccati ben peggiori.

C’è una notevole disparità estetica tra i due fidanzati. Lui un tipo efebico con belle proporzioni facciali. Lei brutta che non c’è aggettivo che possa alleggerire all’occhio questa infausta evidenza. Per solidarietà femminile ammetto che almeno ha le caviglie sottili. La mia teoria è sempre stata che una bella pelle in viso e gambe magre sono lo stretto necessario verso la bellezza, la principessa le ha entrambe ma qualcosa è andata storta qui.

Il  confronto con le più avvenenti cugine acquisite non è clemente ma di una cosa Beatrice può essere certa, il suo sarà il marito più carino. Credo che la metà del suo sangue italiano si sia diluita nella lunga frequenza di scuole e ambienti inglesi, quindi sarà poca la parentela che l’Italia acquisirà con i Royals.

Ho vissuto tanti tanti anni a Londra, a saperlo prima dell’amore dei reali per noi commoners, un principe me lo sarei infiocchettato pure io!

 

Viaggia in Italia , viaggia pulito

La mamma del mio ex inglese non capiva come mai noi italiani amiamo tanto lavarci con mano e saponetta dopo l’evacuazione quotidiana.

“Why not using the wipes?” chiedeva lei.

“Il bidet, la più alta espressione di civiltà italiana! Le salviette umidificate, la più grande forma di inciviltà verso il pianeta!” le rispondevo io convinta.

In Inghilterra, per esempio, supposte e lavande vaginali sono praticamente obsolete. A scoraggiare l’uso rettale ci si mettono pure i prezzi, 40 sterline per un pacco di supposte pediatriche di paracetamolo.

Ogni nazione ha una particolare sintonia con le proprie parti intime. In Italia la nostra è ben collaudata, nell’uso pratico come in quello verbale.

Pere, perette, clisteri, alla glicerina, al miele e malva, ce n’è per tutti i gusti. Il detto comune, graficamente tradotto come una grattatina di palle, ha portato bene a generazioni di italiani.

Insomma, siamo un gran bel Paese con qualche testa di cazzo al governo, tanto per rimanere in tema, ma mi pare che anche nel resto del mondo le cose non siano troppo diverse.

Quando sei caduta sugli scogli e ti sei sbucciata la patata

D’estate sugli scogli si fanno le cadute peggiori. Ginocchia abrase, dita dei piedi frantumate, unghie che saltano, cosce escoriate, per elencare le più note. Infine può andarti veramente male, tipo cadere a gambe aperte e ledere rovinosamente la cosa più preziosa che la natura ha regalato a noi donne. È quello che è successo a te. Colpa delle infradito inconsistenti, di qualche alga scivolosa, ti è partita una spaccata in stile ginnico e così ti sei sbucciata la patata.

I bagnanti sono accorsi alle tue urla.

“Aia, che dolore sto male, aia!”

“Madonna, povera figlia, dove ti fa male? Facci vedere la ferita!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Presto, sciacquiamo la ferita con dell’acqua fresca, ho una bottiglietta sotto il mio ombrellone!”

“Nooo, non vi avvicinate!”

“Oronzo, corri a chiamare tuo fratello Pasquale dall’acqua, che lui studia per infermiere e di ferite ne capisce”

“Nooo, non vi avvicinate, non mostro niente io!”

Nessuno ha visto la dinamica della caduta e nessuno ha capito dove sia realmente la ferita. Giunta in pronto soccorso non ti sei fidata del ginecologo di turno che vuole suturarla. Hai pensato a qualche forma di infibulazione barbara, visto il posto remoto e meridionale in cui ti trovi in vacanza. Hai preso il primo volo per Milano, dove la tua ginecologa ha decretato che con assoluto riposo i punti possono essere evitati.

Ragazza mia, non è passato molto tempo da quando ti facevi aiutare da tua madre a mettere i tampax. Già allora mi sembrava avessi un rapporto strano con la tua patata. Mi ricorda un po’ una donna di mia conoscenza che fa ancora il bidet a suo figlio dodicenne e peloso.

Non dico che non si debba far vedere i propri ortaggi a nessuno, ma che tu cuoccia le patate al forno o i piselli al vapore, sono cotture lente che devi imparare a far da solo.

Terroni nè

Il customer care è un concetto astratto che l’individuo meridionale ignora completamente. Sono alle prese con la ristrutturazione di una casa. Un’esperienza bellissima, mi dicevano le amiche d’oltralpe. Una tragedia che avvelena i miei giorni, come ho scoperto da ormai 10 mesi. Lavori sommari, lasciati in sospeso. L’ultima scoperta, una persiana di dimensioni troppo grandi rispetto alla ringhiera del balcone su cui è stata montata. In sostanza, una anta non si apre, sbatte contro la ringhiera.

“ Signó, nan ti preoccupà! Arrisolviamo accussí: pieghiamo poco poco la ringhiera con il crick, ma na robba di pochi centimetri, accussí quando apri non sbatte più!” ( una ringhiera antica che sta lì immacolata dal 1800! )

Ieri provo a chiamare diverse volte, senza risposta, una ditta che deve venire ad installare una stufa. La settimana scorsa mi era stato detto “ verremo nei prossimi giorni”. Sette giorni dopo, in quanto cliente pagante, mi sento in diritto di avere una risposta più precisa. Non è che sto proprio tutto il giorno a limarmi le unghie e lisciarmi i capelli, un lavoro ce l’ho pure io, mi devo organizzare nè. Diverse telefonate non risposte dopo, decido di mandare un messaggio al tipo della stufa, chiedendo una data. La sua risposta è stata fulminea :” Signó, ma se sto impegnato con 5 clienti scusa, cosa devo fare. Quando posso la monto”. Gli ho fatto notare che sono un cliente anche io e non c’era bisogno di essere sgarbato. La sua risposta :” Signó, ma se ti ho detto pure scusa, che vuoi mó? Sono senza parole!” . Ah ecco, andiamo bene. Mi sono ripromessa che al momento del pagamento finale, non sarò solerte, non risponderò alle sue chiamate e quando mi manderà un messaggio gli risponderò che “sono impegnata con 5 clienti, scusa(!), e quando posso pagherò”.

Forse in queste vene scorre amarone del Veneto e in questo petto batte un cuore padano. Lo ammetto, è vero, lo dico con la bocca piena di fave e cicorie, ma anche il settentrionale doc apprezza la cucina meridionale. Non venite mai ad abitare al Sud nè.

Aperture mentali e non solo

Come si racconta una storia che parla di sesso anale? Chissà. Inizio con il dire che non si dovrebbero giudicare i gusti sessuali altrui e forse nemmeno i propri.

Monica aveva conosciuto un suo collega di molti anni più maturo, sposato con figli. Il dottore in questione era probabilmente stato un ex belloccio da giovane, sul genere Nino D’Angelo versione caschetto dorato e occhio azzurro. Del resto era di Napoli pure lui. Al primo appuntamento, di fronte ad un piatto di culatello e pecorino, il dottore sensualmente aveva dichiarato che avrebbe fatto piangere la nostra Monica. Lei invece di scappare, gli aveva sorriso per mo’ di sfida. Ciò che eccita le persone è come il profumo: un gusto molto personale.

Sennonché il dottore aveva il chiodo fisso del sesso anale. E se vi è sorto il dubbio, no, non era un proctologo. Varie le titubanze di Monica come i suoi rifiuti: non l’ho mai fatto prima, farà male…

Ma un bravo medico, con “esperienza”, ha la soluzione quasi a tutto. Un giorno si è presentato con una scatola. Ne ha estratto una bustina sigillata, di quelle che si mettono in autoclave per sterilizzare gli strumenti chirurgici. All’interno di essa, di varie dimensioni e forme, dei dilatatori anali.

In apertura ho promesso non avrei espresso giudizi, ma d’ora in poi accertatevi sempre della bontà dell’autoclave usata dal vostro medico prima che vi metta qualche strumento in bocca.

C’è zoccola e zoccola

La mia collega, una ragazza fine e perbene, stava ristrutturando la nuova casa. In genere era suo marito a occuparsi di trattare con muratori e manovalanza varia. Tutta gente del sud, lavoratori indefessi, allevati a orecchiette e dialetto locale. Si dovette scegliere i pavimenti un giorno, il tipo di fogatura e via dicendo.

Lucia, la mia collega, raggiunse in cantiere suo marito che stava parlando con il muratore. Discutevano sulla altezza della zoccolatura ai margini delle pareti.

Il povero operaio, credendo di sapere a quali allusioni potesse portare la parola zoccolatura (sia mai !) pensò bene di trovare un modo più educato per rivolgersi a Lucia e disse:

“Allora signo’, il pavimend lu facciam accussì ma ditemi, accome la vulete fatta la topolatura?“

Lady di ferro

È un fatto della vita che le donne siano più autoritarie degli uomini. Molte vengono definite prevaricatrici o addirittura tiranniche.

Alcune riescono nella difficile impresa di essere autorevoli, con garbo e nervi saldi.

Io sostengo pure che dipende molto dall’uomo che le giudica. Per esempio Sir Denis Thatcher, marito della famosa Margaret, alla domanda su chi a casa sua portasse i pantaloni, rispose:

“ Li porto io. E me li lavo e me li stiro pure !”

La passera di Figaro

Maestro Ciccio è il barbiere della città. Il suo salone è seminascosto in un vicolo cieco del centro storico. All’interno tre poltrone di pelle verde, datate 1915 e provenienti dalla Chicago di Al Capone. Come siano arrivate nell’entroterra dell’Italia meridionale è un mistero che Mestr’Cicc non vuole svelare. Diversi turisti gli hanno offerto cifre esorbitanti per acquistarle, ma lui, con mezza cicca spenta, a denti stretti, schiocca la lingua e risponde un secco “Noni”.

Su quelle poltrone Mestr’Cicc ha fatto il baffo a tutti.

Nel retrobottega c’è una tavola, con un nudo bulbo di lampadina appeso sopra. La vera maestria col rasoio Mestr’Cicc la dimostra qui, quando le vecchie comari, con il collo gonfio di finto contegno e desiderio, vi si sdraiano sopra. Pochi, sapienti colpi e via lu pilu dalle ascelle e dalla “natura”. Le persone semplici vivono con molta più naturalezza il godimento, il tradimento e la lussuria in genere. Il piacere si prende dove e come si può, senza preamboli o pudori.

Ma se c’è una cosa che il Maestro continua a non capire sono li femmini che si vogliono far tagghiari tutto lu pilu. L’amore è tanto più bello quando incolto.

Bella madre

La mamma è mamma, diceva mia nonna. Sua suocera era una donnina minuta con una grande gobba alla schiena. Un giorno, durante una scaramuccia con nonno, mia nonna gli disse che poteva andare a farsi benedire lui e quella sciummuta (gobbuta) di sua madre. Lo sdegno di nonno fu grande, non tanto per la benedizione, quanto per il fatto che sua madre fosse stata offesa in quel modo. Non ricordava affatto che la donna fosse sciummuta, anzi!

La mamma è mamma, diceva mia nonna.

Anni fa il mio ex rimprovero’ sua sorella quattordicenne per il cattivo odore delle ascelle. La ragazzina ci rimase malissimo e scoppiò in lacrime. Ricordo che lo rimproverai e gli dissi: “scusa, te la prendi tanto con tua sorella in piena pubertà e non ti accorgi delle ascelle cipollate di tua madre?”. La sua reazione nel sentire la mamma denigrata ve la lascio immaginare. Pensai che in effetti da bimbo, ammucciato nelle braccia della madre, era stato allattato al seno a latte e cipolle. Il primo ricordo dell’odore della mamma.

La mamma è mamma, diceva mia nonna. Ed aveva ragione.

Requiem e ricordi

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. Si celebrava il funerale di Donna Mimina. Un funerale sentito, meridionale, a cui partecipava tutto il paese.

Nonostante si fosse abbandonata da un bel po’ la pratica delle chiangimorti (le prefiche) le comari del paese si sentivano in dovere di versare lacrime copiose e rumorose. In fin dei conti era morta la Farmacista, che con il prete, il medico ed il sindaco, rappresentava l’eccellenza a cui riverire. Nei due giorni precedenti, la morta era stata esposta dentro casa, secondo sue indicazioni. Era stato allestito il letto con il corredo migliore e Donna Mimina deposta su di esso con la camicia da notte più bella. Doveva sembrare come se dormisse e si potesse svegliare da un momento all’altro. Infatti la Farmacista aveva dato disposizioni non la si toccasse per due giorni e due notti. Temeva o auspicava in una sua finta dipartita.

I paesani sfilarono di fronte a Donna Mimina incessantemente.

-Matonna quantu sta bella!

-Veti veti sta proprio serena.

-Quiddu sorriso che tiene. Si vete proprio che si è liberata dallu dolore!

-Nà nà ma che colorito, bella fatta proprio sta, Recchiem eterna.

Il tutto in una profusione di segni della croce, carezze e baci sfiorati alla morta, come da migliore tradizione meridionale.

In un angolo appartato sedeva Titino, il figlio di Donna Mimina. Le donne lo guardavano con compassione.

“Cummà” fece una donna all’altra, “ti ricordi a quannu nacque Titino? Era scuru e gnoro come nu topolino”.

“Ca secondo te mi possu scurdari?” rispose l’altra impettita. “La buonanima di Donna Mimina a quannu lu vite alzò le braccia e disse: Oh Matonna dei Cieli, quanto è brutto, copritelo con lu lanzulo che pare nu zucculone”.