Terroni nè

Il customer care è un concetto astratto che l’individuo meridionale ignora completamente. Sono alle prese con la ristrutturazione di una casa. Un’esperienza bellissima, mi dicevano le amiche d’oltralpe. Una tragedia che avvelena i miei giorni, come ho scoperto da ormai 10 mesi. Lavori sommari, lasciati in sospeso. L’ultima scoperta, una persiana di dimensioni troppo grandi rispetto alla ringhiera del balcone su cui è stata montata. In sostanza, una anta non si apre, sbatte contro la ringhiera.

“ Signó, nan ti preoccupà! Arrisolviamo accussí: pieghiamo poco poco la ringhiera con il crick, ma na robba di pochi centimetri, accussí quando apri non sbatte più!” ( una ringhiera antica che sta lì immacolata dal 1800! )

Ieri provo a chiamare diverse volte, senza risposta, una ditta che deve venire ad installare una stufa. La settimana scorsa mi era stato detto “ verremo nei prossimi giorni”. Sette giorni dopo, in quanto cliente pagante, mi sento in diritto di avere una risposta più precisa. Non è che sto proprio tutto il giorno a limarmi le unghie e lisciarmi i capelli, un lavoro ce l’ho pure io, mi devo organizzare nè. Diverse telefonate non risposte dopo, decido di mandare un messaggio al tipo della stufa, chiedendo una data. La sua risposta è stata fulminea :” Signó, ma se sto impegnato con 5 clienti scusa, cosa devo fare. Quando posso la monto”. Gli ho fatto notare che sono un cliente anche io e non c’era bisogno di essere sgarbato. La sua risposta :” Signó, ma se ti ho detto pure scusa, che vuoi mó? Sono senza parole!” . Ah ecco, andiamo bene. Mi sono ripromessa che al momento del pagamento finale, non sarò solerte, non risponderò alle sue chiamate e quando mi manderà un messaggio gli risponderò che “sono impegnata con 5 clienti, scusa(!), e quando posso pagherò”.

Forse in queste vene scorre amarone del Veneto e in questo petto batte un cuore padano. Lo ammetto, è vero, lo dico con la bocca piena di fave e cicorie, ma anche il settentrionale doc apprezza la cucina meridionale. Non venite mai ad abitare al Sud nè.

Aperture mentali e non solo

Come si racconta una storia che parla di sesso anale? Chissà. Inizio con il dire che non si dovrebbero giudicare i gusti sessuali altrui e forse nemmeno i propri.

Monica aveva conosciuto un suo collega di molti anni più maturo, sposato con figli. Il dottore in questione era probabilmente stato un ex belloccio da giovane, sul genere Nino D’Angelo versione caschetto dorato e occhio azzurro. Del resto era di Napoli pure lui. Al primo appuntamento, di fronte ad un piatto di culatello e pecorino, il dottore sensualmente aveva dichiarato che avrebbe fatto piangere la nostra Monica. Lei invece di scappare, gli aveva sorriso per mo’ di sfida. Ciò che eccita le persone è come il profumo: un gusto molto personale.

Sennonché il dottore aveva il chiodo fisso del sesso anale. E se vi è sorto il dubbio, no, non era un proctologo. Varie le titubanze di Monica come i suoi rifiuti: non l’ho mai fatto prima, farà male…

Ma un bravo medico, con “esperienza”, ha la soluzione quasi a tutto. Un giorno si è presentato con una scatola. Ne ha estratto una bustina sigillata, di quelle che si mettono in autoclave per sterilizzare gli strumenti chirurgici. All’interno di essa, di varie dimensioni e forme, dei dilatatori anali.

In apertura ho promesso non avrei espresso giudizi, ma d’ora in poi accertatevi sempre della bontà dell’autoclave usata dal vostro medico prima che vi metta qualche strumento in bocca.

Pecore e dintorni

In fondo le idee di Salvini non sono troppo diverse da quelle dei capi tribù africani.

Leggevo di un pastore del continente nero che fu scoperto mentre aveva rapporti sessuali con una pecora. Io credevo fossero solo i pastori sardi a indugiare in questa pratica, evidentemente mi sbagliavo.

L’uomo fu portato in giudizio di fronte ai capi tribù. Questi sentenziarono che di stupro si trattava e l’uomo venne condannato a sposare la pecora. Poiché la povera capretta non aveva il dono della parola, l’uomo perdeva il diritto a divorziare. Avrebbe dovuto aspettare la morte della consorte e rimanere vedovo prima di potersi risposare con una donna.

L’analogia con Salvini la lascio fare al lettore, perché ce n’è più di una e può portare a riflessioni interessanti.

C’è zoccola e zoccola

La mia collega, una ragazza fine e perbene, stava ristrutturando la nuova casa. In genere era suo marito a occuparsi di trattare con muratori e manovalanza varia. Tutta gente del sud, lavoratori indefessi, allevati a orecchiette e dialetto locale. Si dovette scegliere i pavimenti un giorno, il tipo di fogatura e via dicendo.

Lucia, la mia collega, raggiunse in cantiere suo marito che stava parlando con il muratore. Discutevano sulla altezza della zoccolatura ai margini delle pareti.

Il povero operaio, credendo di sapere a quali allusioni potesse portare la parola zoccolatura (sia mai !) pensò bene di trovare un modo più educato per rivolgersi a Lucia e disse:

“Allora signo’, il pavimend lu facciam accussì ma ditemi, accome la vulete fatta la topolatura?“

Lady di ferro

È un fatto della vita che le donne siano più autoritarie degli uomini. Molte vengono definite prevaricatrici o addirittura tiranniche.

Alcune riescono nella difficile impresa di essere autorevoli, con garbo e nervi saldi.

Io sostengo pure che dipende molto dall’uomo che le giudica. Per esempio Sir Denis Thatcher, marito della famosa Margaret, alla domanda su chi a casa sua portasse i pantaloni, rispose:

“ Li porto io. E me li lavo e me li stiro pure !”

La passera di Figaro

Maestro Ciccio è il barbiere della città. Il suo salone è seminascosto in un vicolo cieco del centro storico. All’interno tre poltrone di pelle verde, datate 1915 e provenienti dalla Chicago di Al Capone. Come siano arrivate nell’entroterra dell’Italia meridionale è un mistero che Mestr’Cicc non vuole svelare. Diversi turisti gli hanno offerto cifre esorbitanti per acquistarle, ma lui, con mezza cicca spenta, a denti stretti, schiocca la lingua e risponde un secco “Noni”.

Su quelle poltrone Mestr’Cicc ha fatto il baffo a tutti.

Nel retrobottega c’è una tavola, con un nudo bulbo di lampadina appeso sopra. La vera maestria col rasoio Mestr’Cicc la dimostra qui, quando le vecchie comari, con il collo gonfio di finto contegno e desiderio, vi si sdraiano sopra. Pochi, sapienti colpi e via lu pilu dalle ascelle e dalla “natura”. Le persone semplici vivono con molta più naturalezza il godimento, il tradimento e la lussuria in genere. Il piacere si prende dove e come si può, senza preamboli o pudori.

Ma se c’è una cosa che il Maestro continua a non capire sono li femmini che si vogliono far tagghiari tutto lu pilu. L’amore è tanto più bello quando incolto.

Requiem e ricordi

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. Si celebrava il funerale di Donna Mimina. Un funerale sentito, meridionale, a cui partecipava tutto il paese.

Nonostante si fosse abbandonata da un bel po’ la pratica delle chiangimorti (le prefiche) le comari del paese si sentivano in dovere di versare lacrime copiose e rumorose. In fin dei conti era morta la Farmacista, che con il prete, il medico ed il sindaco, rappresentava l’eccellenza a cui riverire. Nei due giorni precedenti, la morta era stata esposta dentro casa, secondo sue indicazioni. Era stato allestito il letto con il corredo migliore e Donna Mimina deposta su di esso con la camicia da notte più bella. Doveva sembrare come se dormisse e si potesse svegliare da un momento all’altro. Infatti la Farmacista aveva dato disposizioni non la si toccasse per due giorni e due notti. Temeva o auspicava in una sua finta dipartita.

I paesani sfilarono di fronte a Donna Mimina incessantemente.

-Matonna quantu sta bella!

-Veti veti sta proprio serena.

-Quiddu sorriso che tiene. Si vete proprio che si è liberata dallu dolore!

-Nà nà ma che colorito, bella fatta proprio sta, Recchiem eterna.

Il tutto in una profusione di segni della croce, carezze e baci sfiorati alla morta, come da migliore tradizione meridionale.

In un angolo appartato sedeva Titino, il figlio di Donna Mimina. Le donne lo guardavano con compassione.

“Cummà” fece una donna all’altra, “ti ricordi a quannu nacque Titino? Era scuru e gnoro come nu topolino”.

“Ca secondo te mi possu scurdari?” rispose l’altra impettita. “La buonanima di Donna Mimina a quannu lu vite alzò le braccia e disse: Oh Matonna dei Cieli, quanto è brutto, copritelo con lu lanzulo che pare nu zucculone”.

L’uomo

Non è stata una esperienza facile vivere la mia vita sentimentale. Qualcuno potrebbe insinuare che la colpa sia da attribuire alla mia cattiva scelta del compagno. Potrebbe anche essere, ma sono più portata a pensare che le donne, per come si sono evolute, non possono più avere molto in comune con gli uomini. Noto, dal mio piccolo osservatorio di mondo, che il genere maschile si sta estinguendo. Era ora, anche madre natura si è accorta che è più utile portare avanti solo le donne.

Gli uomini vivono nel loro mondo ingenuo fatto di convinzioni incrollabili. Mio padre, per esempio, aveva tutti i denti anneriti dal fumo di pipa. Uno stupido vizio preso in tarda età. A farglielo notare, ti rispondeva convinto che la colpa fosse dei lavori poveramente eseguiti dal dentista. Mai si era sentito che il tabacco non inalato portasse ad una cattiva igiene o malattie del cavo orale!

Altro esempio, un amico con problemi di urgenza urinaria, tradotto in una pipì ogni mezz’ora. Hai voglia a dirgli di bere meno profusamente, di non sollecitare ulteriormente una vescica già infiammata. La sua compagna era disperata per le esose bollette dell’acqua. Ad ogni piccola minzione lui doveva scaricare 10 litri di sciacquone ogni santa volta. Eppure le lezioni di salvaguardia ecologica impartite alle scuole elementari erano dirette sia ai maschietti che alle femminucce.

E che dire di un mio ex?

Quando vivevamo insieme, trovavo sempre il pattume allagato. Gliene chiesi spiegazione, ma nemmeno lui sapeva da cosa dipendesse. Un giorno entrai in cucina mentre lui svuotava il posacenere nella immondizia. Non come un qualsiasi essere umano avrebbe fatto. No, lui riempiva il posacenere di acqua fino all’orlo e buttava tutto il liquido con i mozziconi nella pattumiera. Fumatore accanito, con la fobia degli incendi, in gioventù con una cicca di sigaretta aveva mandato a fuoco una casa di tre piani.

Concludo, dicendo che non risponderò ai commenti al post scritti da uomini, a meno che non siano di una controbattuta esilarante e sagace.

Viva le donne.

Le natiche non sanno mentire

Il cuscinetto di cellulite non lo si può capire se non si è italiane. Rotolo di grasso a forma di banana, di salsiccia, si accampa sotto la natica, si estende fin sul lato esterno della coscia, si avviluppa verso l’interno coscia, scivola verso le ginocchia, vibra alla sculacciata. Spesso accompagnato dalla buccia di arancia, è l’incubo di tante donne. Angoscia all’approssimarsi dell’estate, avvilisce finanche in inverno nei camerini di prova di Zara. La famosa Dita Von Teese, spogliarellista burlesque dalla perfetta pelle eburnea, alla domanda sul suo segreto per non avere la cellulite, rispondeva : “Good lighting”. In effetti è una questione di luce, massacrante quando proviene dall’alto, più clemente quando soffusa e generata dal basso. Ancora meglio se la spegni proprio.

Il quadro psicologico si aggrava per le donne meridionali che in bikini passano 4 mesi l’anno ma pure per le poverette di Milano durante la stagione passerelle. Ammetto che anche io, etero convinta fin dal grembo materno, di passaggio nella Città da bere, circondata da modelle a passeggio, non potevo far a meno di guardare avida e mio malgrado solidale con l’uomo che tradisce la moglie per bonazze del genere.